Intelligenza Artificiale è un’espressione accattivante per Automazione Industriale. Abiti nuovi per una domanda antica, nelle dinamiche educative come in qualsiasi altro ambito: chi controllerà i controllori, una volta che le procedure di apprendimento, sorveglianza, monitoraggio, valutazione saranno messe in opera da macchine gestite in maniera automatica? Sulla base di quali parametri?
questo articolo è stato pubblicato su Umano, postumano, artificiale, «La ricerca», Anno 8, Numero 18, settembre 2020
La cosiddetta Intelligenza Artificiale (IA) va di moda. In Italia più che altrove: se prendiamo come termometro le ricerche online legate a questo termine, notiamo un’impennata significativa fra il 2019 e il 2020, mentre negli Stati Uniti AI (Artificial Intelligence) risulta in crescita relativamente costante negli ultimi 5 anni. I dati provengono da Google Trends, un servizio offerto da Google che è… un’Intelligenza Artificiale?!
Fra le applicazioni pratiche, esaltate dagli entusiasti e sminuite dagli scettici, ricordiamo: i servizi di assistenza alla clientela (in particolare i chatbot delle compagnie telefoniche); gli acquisti, sempre più personalizzati e rapidi; i social network, in particolare le notifiche e i feed (ad esempio, la timeline di FB, costruita in base al profilo di ciascun utente); la finanza, dove gli algoritmi di trading da parecchio hanno soppiantato gli obsoleti negoziatori umani; viaggi e trasporti, dai suggerimenti del navigatore alla pianificazione degli spostamenti fino alle occasioni di ospitalità; le case furbe (smart), disseminate di sensori in grado di regolare la temperatura dell’acqua, l’illuminazione e così via; le automobili furbe (smart), con tanti accorgimenti per assistere la guida, in prospettiva delle auto a guida autonoma; la sorveglianza e il controllo, nelle strade come a casa propria, spesso attraverso sistemi di riconoscimento facciale e vocale; l’assistenza sanitaria, nella diagnosi precoce così come nella ricerca farmaceutica di nuove molecole, nella gestione dei dati dei pazienti, nella chirurgia di precisione. E, infine, nell’educazione: per abbassare l’ansia dell’apprendimento, personalizzare l’insegnamento, ma soprattutto controllare e monitorare, valutare, schedare…
Sgombrare il campo dagli equivoci sull’IA non è banale. Spesso la discussione si concentra sugli algoritmi (per reti neurali, machine learning e così via), dei quali si chiede la regolamentazione, per evitare che decisioni rilevanti per gli umani vengano prese senza tenere in considerazione parametri etici, o estetici, ovvero la supremazia dell’umano. Ma un algoritmo è una ricetta per ottenere un certo risultato, un processo logico-formale strutturato in passaggi logici elementari: può essere economico in termini computazionali, magari elegante, senz’altro artificiale, ma non intelligente. E allora, da dove viene la parte intelligente dell’IA? A mio parere, è un’espressione allettante per indicare procedure di automazione effettuate con metodologie opache, spesso protette da segreto militare e/o industriale. In particolare designano processi particolarmente complicati a livello computazionale, ad esempio perché attingono a enormi bacini di dati ed è oneroso (o antieconomico) tenere traccia di ogni passaggio; procedure portate a termine in tempi estremamente rapidi e con risultati certi rispetto all’esecuzione da parte di umani.
Sia chiaro: l’automazione è non solamente necessaria, ma auspicabile in molte situazioni. Anche nel caso del comportamento umano: se siete intenti a eseguire un tuffo, eseguite una procedura interiorizzata, senza chiedervi cosa sta accadendo, senza dubitare, per non inficiare il tuffo stesso. Lo stesso accade durante l’interazione con macchinari, dai più semplici ai più complessi. Gli umani non si chiedono costantemente come facciano a stare in equilibrio su una bicicletta, né come funziona un’automobile. Per fortuna: altrimenti nessuno frenerebbe in tempo ai semafori, se dovesse prima calcolare le probabilità di incidente o ragionarci sopra! A maggior ragione, un chirurgo esperto, al pari di qualsiasi altro artigiano, interagisce con strumentazioni sofisticate spesso in stati di flusso1. La capacità di rimanere negli automatismi procedurali può essere vitale: si richiamano alla memoria e ripetono procedure apprese, senza pensare.
Esistono però anche altre modalità di apprendimento, che non fanno ricorso a un tipo di memoria procedurale e implicito, ma dichiarativo ed esplicito: è il caso del pensiero critico, del ragionamento argomentativo, del confronto dialettico e di molte altre situazioni in cui non è evidente e calcolabile a priori, e nemmeno in corso d’opera, quale sia il comportamento migliore da tenere o la risposta più adeguata.
Vediamo ora come l’IA è legata all’esecuzione di procedure automatizzate.