Prefazione all'edizione inglese di Internet, Mon Amour

Amabilissimi lettori, amabilissime lettrici,
la realtà si sa, imita l'arte e talvolta addirittura la supera. Vuole la sorte che mentre siamo qui a scrivere la prefazione all'edizione inglese di questo nostro libricino ci troviamo immersi in uno scenario non troppo dissimile da quello raccontato nelle pagine che vi accingete a leggere...

Come ogni evento eccezionale che viene a turbare la tranquilla (!) routine delle nostre vite quotidiane, anche questa emergenza Covid-19 ci da l'occasione di osservare passato e presente in una diversa prospettiva e di aprire nuovi squarci sul futuro.

Nel cogliere questa occasione per prima cosa andremo a spiegare come e perché è nato lo scenario di Internet, Mon Amour, poi, alla luce dei fatti di oggi, analizzeremo in che modo si realizza nel presente.

Come nasce Internet, Mon Amour

Internet, Mon Amour nasce dal desiderio di comprendere le nostre relazioni con le macchine che fanno parte della nostra vita quotidiana. Com-prendere, prendere insieme, non in astratto ma nel concreto delle nostre esperienze quotidiane. Consapevoli ormai che troppo spesso eravamo e siamo invischiati in catene di reazione e di comando, in cui reagiamo alle macchine (notifiche, automatismi), le comandiamo e ne siamo comandati. Concatenazioni spesso a noi invisibili, perché coperte da strati di make-up. Cosmesi per mascherare con un'apparenza gradevole e smart la profonda alienazione, la lontananza che ci separa dalla comprensione dell'hardware (tablet, smartphone, consolle di gioco, smart TV, computer) e del software (piattaforme social, app) di cui ci serviamo. Non si tratta di diventare esperti e scienziati, ma di curare con grazia e gentilezza relazioni tecnologiche appropriate.

Nelle nostre esperienze di formazione come C.I.R.C.E. ci siamo resi sempre più conto di quanto fosse difficile scardinare gli automatismi comportamentali. Le lezioni cognitive e frontali, in cui magari ti spiego come funziona la profilazione, ti spiego cosa è la gamificazione, non arrivavano davvero a generare nuova conoscenza o consapevolezza negli ascoltatori. Invece, nel corso dei laboratori e delle formazioni esperienziali, si osserva talvolta il generarsi di nuova conoscenza: ogni nuova comprensione è una scoperta tanto per i partecipanti che per i conduttori, attraverso un appassionato gioco, in uno spazio-tempo protetto, dove è possibile mettere a nudo le proprie vulnerabilità e imparare insieme.

Ci siamo chiesti come riportare questa esperienza in un libro. Come costruire un libro che non fosse il solito saggio da leggere e dimenticare facilmente, una lettura magari interessante che però non incide sule abitudini quotidiane, insomma come evitare di scrivere quel genere di saggio che si comprende a livello cognitivo ma che in fondo ci scivola addosso come un fiume di parole. La soluzione era semplice ed era già nelle nostre mani: raccontare storie.

Storie che erano accadute a ognuna di noi o che erano accadute a persone a noi vicine. Storie nelle quali possiamo ritrovarci, storie dove ci sentiamo chiamati in causa. Storie che possono restare impresse per la loro semplicità, storie che ci agganciano emotivamente consentendoci di attivare una comprensione che supera il piano cognitivo.

Così nasce Internet, Mon Amour: un ibrido tra un saggio e una raccolta di novelle inserite in una cornice di fantascienza speculativa che, mettendo in prospettiva la nostra vita quotidiana, ci consente il gioco dei modelli di simulazione, favorisce la trasformazione. Non è un inganno, ma una chiamata all'esercizio dell'immaginazione individuale, che può diventare immaginario collettivo. Fra tante fake news da contestare (un esercizio di critica necessario che però rimane nella pars destruens, e alimenta a volte il rumore di fondo) ci prendiamo una pausa creativa: la pars construens è partecipare a una ricreazione.

Una storia non può essere contestata, può piacere o non piacere, ma non ha senso sostenere che è falsa: il piacere non è vero o falso, è un'interazione neurologica, affettiva, socio-psicologica e anche tecnica che non ha senso voler identificare e criticare, pena la distruzione del piacere stesso. Una storia, bisogna volerla raccontare e ascoltare, al di là dei torti e delle ragioni, dei pregiudizi e delle idiosincrasie. Una storia richiede una predisposizione empatica all'accoglienza nota in letteratura come sospensione dell'incredulità, «suspension of disbelief» diceva il poeta S.T. Coleridge. Un momento in cui si decide, in piena coscienza e consapevolezza, di stare al gioco: non tanto di credere (alla verità?), di obbedire (alla scienza? all'autorità?), di combattere (per il Bene?), ma di prendere una boccata d'aria e, con un pizzico di fiducia, aprire le porte dell'immaginazione. Immaginare l'incredibile, l'impossibile, l'assurdo è un esercizio fondamentale di libertà.

Una storia consente di abbassare per un attimo le difese critiche (il dibattito, anche assembleare, purtroppo anche quello retto sul metodo del consenso, non ha mai portato a nulla se non a tacitare, o cooptare, o distruggere le minoranze...), senza manipolare; rifiuta la dialettica oppositiva e si concentra, una volta tanto, sulla cooperazione per la tessitura di un senso comune, di un immaginario condiviso, nel quale «si comprende» insieme la storia, scambiando. È un gioco d'interpretazione più che un lavoro intellettuale. E il gioco è passione e libertà, nel reciproco rispetto di regole condivise. Il germe possibile di alleanze fra pari.

Cosa succede oggi nella Zona Rossa italiana COVID19

Oggi la Grande Peste di Internet è qui. Non quella paventata in IMA, è ovvio. Nella realtà si è manifestata in modo un po' diverso.

Nello scenario immaginato in IMA, la Grande Peste nasceva dalle cattive abitudini perpetrate dagli esseri umani nelle loro malsane relazioni con i dispositivi tecnologici, gli esseri tecnici; abusi e oppressioni reciproche portavano gli umani a isolarsi e a distruggere il collante sociale che li teneva insieme.

Durante il lockdown per il Covid-19, apparentemente sono proprio le grandi piattaforme digitali a ergersi come garanti della coesione sociale: «Siamo tutti nella stessa barca! #IoRestoACasa» postavano orgogliosi sui social gli utenti senza distinzione di età o credo politico. E dagli all'untore, ai soliti che non rispettano le regole, come i temibili runners, i podisti novelli untori, o quelli che sfidano i posti di blocco per riunirsi alle persone amate! Pazzi! Come vi permettete di mettere in pericolo la pubblica salute? Che cos'è il diritto alla libera circolazione e alla libera riunione di fronte al Primato della Salute?

«Devi stare a casa per il tuo bene, non devi incontrare gli altri per tutelare la salute pubblica, noi ci stiamo prendendo cura di te, ecco guarda, ti diamo accesso gratuito a librerie sterminate di film e serie TV per rendere più gradevole il tuo isolamento... una scelta illimitata... è faticoso scegliere? Allora facciamo che sceglie un algoritmo al posto tuo, così ti rilassi e clicchi solo su play. Sarai spettatore del gioco! Quanto è rilassante, sei libero dalla fatica di scegliere, sei libero persino dalla libertà!»

Siamo tutti in lockdown, meno male che ci sono Facebook e Instagram, possiamo usarli per fare le dirette video delle lezioni per ragazzi e ragazze costrette a casa. Possiamo usarle per condividere le nostre ricette, per fare lezioni di yoga, per raccontare la nostra versione dei fatti al mondo. Meno male che ci stanno le grandi piattaforme di streaming video! [1] Possiamo intrattenere i nostri bambini che altrimenti ci dovremmo sorbire tutto il giorno. Possiamo sfuggire alla tanto temuta noia: «Ah Grande Corporazione dell'Intrattenimento, concedici oggi il nostro svago quotidiano, facci la grazia di un abbonamento gratuito anticipato, salvaci dal buio delle nostre paure.»

I provider di connettività offrono giga illimitati, Amazon, Google e Cisco offrono i loro cloud, tutto purché la produttività non si fermi, purché l'intrattenimento non abbia fine, purché nessuno si annoi. È vero non ci si può toccare, abbracciare, incontrare, la libertà è sotto lo scacco del ricatto morale, ma a chi importa? «Andrà tutto bene», «Siamo in buone mani».

Lo spazio fisico delle relazioni umane, la strada, la campagna, sono diventati luoghi non adatti a noi. La primavera anticipata sta esplodendo nella sua gloria di odori e profumi ma non è più questo lo spazio dell'incontro e dello scambio per gli umani. Abitiamo un pianeta infetto? Forse sì, ma in tal caso, infetto per gli umani, e da loro infettato e contagiato!

Che se ne stiano a casa questi pericolosi ospiti di virus! Distanti almeno un metro dagli altri, uscite il meno possibile, non incontratevi, parlatevi solo al telefono o in videoconferenza sulla nostra piattaforma gentilmente offerta!

Solidarietà digitale è il nome della pagina dedicata su un sito governativo, e mentre le aziende telefoniche aderiscono alla campagna per venire incontro alle necessità di telelavoro, teledidattica o svago dei cittadini (la cultura è diventata svago: ciò che più pensavamo essenziale è stato relegato al rango di superfluo con un colpo di spugna!), allo stesso tempo lasciano i lavoratori e le lavoratrici dei call center in open space ammucchiati gli uni sugli altri.

Il tutto, da parte di governi e piattaforme, condito da una retorica di bene comune: "lo stiamo facendo per il tuo bene!", il tuo bene di lavoratrice a casa, di studente a casa, di insegnante a casa. Conseguenza ovvia: chi non si adegua alla produzione di video, audio e materiali da erogare a distanza viene considerato sprezzante del bene comune. Chi sottolinea che non è cosa buona usare strumenti proprietari, che prendere decisioni nell'emergenza non è saggio, viene tacciato di non essere attento alla cosa importante, al contenuto: cioè l'emergenza sanitaria. Ma l'emergenza sanitaria passerà. Rischia invece di rimanere l'introduzione di strumenti proprietari per svolgere mansioni lavorative ed educative, con tutto il corollario di raccolta dati, metadati, manipolazione, addestramento cognitivo e comportamentale.

Solidarietà digitale dicevamo... il grande esperimento sociale era appena cominciato...

Uno sguardo al futuro

E quando la situazione tornerà alla normalità? Ovviamente non si torna indietro e nel frattempo sarà diventato ancora più difficile estirpare le tecnologie del dominio dalle nostre vite, assuefatti come saremo diventati alle piattaforme di e-qualunquecosa. Il capitalismo del disastro, fregandosi le mani per la gioia e l'insperata occasione, si sarà nel frattempo messo da parte una quantità enorme di dati e metadati sui nostri comportamenti. Ci riuscirà difficile disdire l'abbonamento al servizio di streaming offerto gratis per due mesi proprio mentre stiamo guardando quella serie TV così appassionante. Non vorremmo smettere di lavorare da casa ora che abbiamo installato alla meno peggio tutte le app per lo smartworking, chi se ne importa se Zoom condivide i miei dati con Facebook anche se non ho un account, è così comodo per le videoconferenze. Ogni tanto una zona rossa, un confinamento, una quarantena... pazienza, è per il bene comune! Come sempre automatismi e inerzia prenderanno il sopravvento sulle nostre scelte attive. Meno fatica, meno sforzo, meno contatto, meno attrito, meno libertà di scelta: che tutto cambi perché nulla cambi.

Ora che ci siamo affidati al prodigioso aiuto di queste reti altrui per comunicare con gli altri umani e con le macchine, per trovare ciò che cercavamo; ora che le nostre relazioni sono diventate così vulnerabili, cosa faremo quando vorremo tirar fuori la testa dalla nostra confortevole filter bubble? A chi ci rivolgeremo quando non avremo più accesso ai nostri account?

Basta con la distopia! Siete i soliti catastrofisti, urleranno a gran voce gli ottimisti, gli speranzosi, gli spaventati. È vero, è così confortevole abbandonarsi alla magnanimità dei padroni dell'oggi... come i servi della gleba guardavano alla grande bontà e giustizia dello zar, come gli schiavi guardavano alla magnificenza divina del faraone mentre costruivano la sua tomba, così gli ingranaggi della Megamacchina, umani e non umani, continuano oggi a girare senza alcuna frizione apparente. Ma a noi piace sbirciare dentro l'ingranaggio, se si scruta con attenzione ci sono sempre degli interstizi dove è possibile intervenire, dove è possibile fare ricreazione.

Quando parliamo di fare ricreazione pensiamo al momento in cui i bambini a scuola possono finalmente giocare e muoversi liberamente. Ricreazione ha però anche un altro significato: le tecnologie non sono neutre e quindi è necessario ricreare strumenti per interazioni conviviali che non siano sottomesse alle logiche del dominio.

Vogliamo immaginare che una volta uscite dall'emergenza alcune tra noi avranno fatto tesoro di questa esperienza, osservato le vulnerabilità e iniziato la ricreazione per trasformarci a partire dai punti deboli. Un percorso che inizia con lo sguardo rivolto verso strumenti non gamificati e scelte consapevoli.

Dalla Zona Rossa è tutto. Il resto lo conoscete voi lettori del futuro, dipende da voi.

Zona Rossa, Italia, marzo 2020

[1] https://www.nasdaq.com/articles/coronavirus-will-lead-to-47-million-additional-streaming-video-subscriptions-this-year

L'autore


Agnese Trocchi

Agnese Trocchi

 

Social media strategist, artista multimediale, scrittrice e copywriter, formatrice.

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