di Davide Fant e Carlo B. Milani
questo articolo è pubblicato in "Formare... a distanza?", II edizione, C.I.R.C.E. novembre 2020
L'inglese organic si traduce con l'italiano bio, ma il termine
mantiene la radice organica, che rinvia all'organismo. Nella formazione
a distanza siamo immersi in ambienti complessi che vorremmo spingere in
una direzione più bio-organica. Abitare quegli spazi in maniera critica,
libera, ecologica è una sfida dei nostri tempi. Nel complesso riteniamo
fondamentale limitare le interazioni automatiche e automatizzate con le
macchine, per ampliare i margini di interazione non automatizzata. Non
si tratta di contrapporre esseri umani e macchine ma di scegliere come
costruire relazioni conviviali attraverso la messa a punto di
tecnologie appropriate. È quello che cerchiamo di fare con le attività
di pedagogia hacker.
Di seguito riportiamo alcuni dei suggerimenti che sono emersi nelle
pagine di questo libro. Li abbiamo suddivisi in quattro categorie
principali: stai con il problema, prima di tutto le persone,
creatività e senso critico, e, per finire, fad non significa
videochat.
Le tecnologie industriali di massa arrivano fra noi con un portato
ideologico forte, anche se quasi mai esplicito. Il presupposto
dell'ideologia tecnologica è semplice: ogni situazione è un problema da
risolvere mediante una soluzione tecnica. Le piattaforme per
l'insegnamento a distanza, ma anche le semplici videochat, condividono
questo postulato.
Secondo questo paradigma educatori, insegnanti, formatori nelle
condizioni di dover lavorare a distanza devono "semplicemente" imparare
a utilizzare le app giuste, e ovviamente a usarle bene.
Automaticamente, quasi per magia, questo "semplice" uso degli strumenti
"giusti" risolverà il problema... della distanza, della didattica, della
formazione e così via. Automagicamente!
Invece di abbandonarci alla procedura corretta, noi pensiamo invece che
cercare di abitare il disagio, anche il disagio della distanza, facendo
appello alle nostre risorse creative, sia un punto di partenza
maggiormente generativo. Prima di lanciarci su un tutorial on-line,
prima di correre dall'amico smanettone, è fondamentale fermarci,
connetterci con il problema, ri-connetterci con noi stessi e con le
persone verso le quali abbiamo responsabilità formative.
La tua storia, le tue competenze, ogni tua risorsa può essere utile
nella didattica a distanza. Non perdiamo quello che siamo solo perché
siamo dietro uno schermo. Però a volte rischiamo di dimenticarcelo, alla
ricerca dell'"app miracolosa".
Cerchiamo di ricordarci che tutto ciò che siamo e che abbiamo può essere
utile, interessante, divertente anche a distanza. Capacità, dubbi,
slanci, debolezze... nel contesto digitale non è il caso di
accantonarle, come se fossimo in un'altra dimensione, fuori da noi
stessi.
Come formatori, vogliamo ripartire da quello che, per la nostra
esperienza, riteniamo essenziale nel rapporto educativo/formativo e
dalla nostra creatività. Dialogare e, perché no, scontrarsi e
litigare con le macchine è un presupposto chiave per andare nella
direzione che riteniamo importante tenendo "la barra dritta".
È fondamentale provare ad adattare il proprio lavoro senza dire a priori
che "è impossibile". Durante i mesi di lockdown abbiamo visto
riportate on line situazioni didattiche impensabili prima: immaginazioni
guidate, esercizi teatrali, coreografie di danza, laboratori di
cucina... La qualità più grande diviene allora quella di "imparare a
disimparare" le modalità di lavoro classiche per ritrovare il cuore del
nostro approccio, metodo, contenuti, e re-inventarle nella modalità
on-line. Non sarà di certo lo stesso, ma potranno succedere cose
interessanti.
Un esempio semplice, tra gli altri contenuti in questo libro, è quando
Agnese Trocchi (Raccontare -- E i genitori?) racconta di come le
sociometrie, tipico strumento di lavoro in presenza, di matrice
psicodrammatica, siano state re-inventate utilizzando semplicemente un
pad durante i laboratori di pedagogia hacker a distanza.
Marta Milani nel suo racconto sulla re-invenzione a distanza dei corsi
di italiano L2 (Clinamen: italiano senza confino) ricorda che il fatto
di essere all'esterno di un quadro istituzionale determini per loro "una
situazione fortemente privilegiata". Non possono certo dire lo stesso
gli insegnanti della scuola: l'istituzione non transige al rispetto del
programma, e, anche ai tempi di diretta in videochat, rimane
aggrappata alle classiche modalità valutative.
I vincoli che attanagliano chi è costretto a fare formazione a distanza
però possono però essere anche auto-imposti: non pochi formatori ed
educatori si sentono responsabili della replicazione di modelli più o
meno calati dall'alto tanto che faticano a fare un passo indietro
rispetto a quelli, anche nelle situazioni di emergenza.
Per una formazione a distanza il più possibile funzionale, è invece
spesso imprescindibile la trasgressione a questi vincoli, esterni e/o
autoindotti, e prendere le distanze dal "dover fare" e re-impostare le
proprie coordinate. Sono diversi i tempi di lavoro in situazione
sincrona (condivisione delle stesso spazio-tempo e focus di
attenzione), la condizione emotiva, la possibilità di utilizzare
strumenti didattici; quindi anche gli obiettivi e le priorità devono
essere diversi.
Non vuol dire che si debba per forza "puntare in basso" ma re-impostare
sì, anche senza chiedere il permesso. Dobbiamo ripartire
dall'essenziale, da quello che maggiormente puoi dare alle persone verso
cui hai responsabilità educative, al di là di quanto scritto
precedentemente sulla carta. Se vogliamo creare dobbiamo agire veloci,
anche un po' da clandestini svicolando tra le griglie dell'istituzione,
e delle nostre rigidità.
Nella distanza siamo sempre noi, per quanto mediati da macchine e
piattaforme. Per questo i gruppi che hanno funzionato meglio a distanza
durante il lockdown potevano basarsi su solide relazioni costruite in
presenza. Quando allora un corso è progettato in modalità blended
(mista in presenza e distanza), oppure quando rischia di subire lunghi
periodi solo on line per cause di forza maggiore, è importante sfruttare
i momenti di incontro fisico ad attività che creino fiducia,
affiatamento, relazione autentica e significativa.
Questo suggerimento può rivelarsi utile per chi lavora con gruppi che
annoverano componenti soliti a lunghi periodi di assenza, come i ragazzi
a rischio di ritiro sociale. Curare in modo particolare la costruzione
della relazione con loro nei momenti di presenza potrà andare a
sostenere la continuità della relazione e del lavoro formativo nei
momenti di "crisi" in cui l'adolescente non riuscirà a frequentare la
scuola o il servizio perché saremo costretti ad attivare un lavoro
formativo a distanza.
La cura del legame sociale è tipica delle comunità resilienti; è una
forma di mutuo appoggio, a ben vedere: nel momento in cui accade
l'inaspettato, la "catastrofe"... la collaborazione sperimentata e la
vicinanza esistente tra le persone diventa la prima leva per affrontare
la situazione.
Anche se siamo abituati a portare avanti il nostro lavoro formativo in
gruppo, in casi di distanza forzata è importante implementare le
comunicazioni "uno a uno".
Questo perché nelle situazioni di gruppo in presenza c'è comunque sempre
la possibilità di comunicare individualmente tra le persone; ci sono i
momenti destrutturati in cui si può incontrarsi e scambiare due
chiacchiere, c\'è la possibilità di incrociare sguardi, indirizzarsi
messaggi più o meno verbali durante l'attività, anche in mezzo a tante
persone. Nelle interazioni digitali tutto questo diviene molto più
difficile. Ecco allora qualche accorgimento che può rivelarsi utile:
È ben supportato dall'esperienza fino a che punto la qualità del lavoro
individuale si riverbera poi nel momento di gruppo: se il conduttore
conosce le riflessioni, i pensieri, gli stati d'animo dei ragazzi può,
con sensibilità e delicatezza, riportarli nel contesto dell'incontro di
gruppo, e al tempo stesso evitare gaffe e forzature inopportune.
Inviare messaggi o fare chiamate individuali è un modo per far sentire
la nostra vicinanza ai discenti, per comunicare loro "per me sei
importante" al di là del mandato formale dell'apprendimento in gruppo.
Possiamo allora rafforzare questo messaggio attraverso piccoli gesti,
"regali" non dovuti. Ad esempio all'Anno Unico (si veda la sezione
Inventare) gli adolescenti hanno molto apprezzato la cura con cui il
materiale che loro producevano a casa veniva valorizzato, impaginato,
trasformato, rimixato dai formatori senza che rientrasse nei loro
"doveri formativi". Questo ha contribuito a creare maggiore affiatamento
e connessione anche a distanza.
Sempre nello stesso contesto si è sperimentato come un "dialogo poetico"
fatto di ascolto di sé stessi e ascolto dell'altro, reciproco e
simmetrico tra discente e formatore ha creato inedite vicinanze e
alleanze.
Apprendere a distanza richiede grande motivazione; esserci nel digitale
è faticoso, i discenti ci sono se sentono che ne vale la pena.
Può essere allora utile proporre attività che possano rispondere a loro
urgenze, desideri, che li aiutino a costruire un senso rispetto al
vissuto presente, che non siano percepite solo come un tentativo di
"riempirgli il tempo", oppure di inculcargli contenuti distanti da loro.
L'utilizzo delle tecnologie digitali non impatta nel vissuto delle
persone nello stesso modo. Diverse esperienze suggeriscono di impostare
opzioni diversificate per discenti differenti, sia nell'utilizzare uno
spettro più ampio di piattaforme e applicazioni, sia nell\'utilizzo
della stessa piattaforma. In questo ultimo caso in diversi contributi
qui riportati ritorna l'importanza di lasciare libertà nell\'utilizzo
della videochat, che può essere utilizzata nell'opzione audio-video ma
anche solo audio, o solo testo chat: una soluzione efficace, ma poco
utilizzata nelle scuole, che nella maggior parte dei casi obbligano i
propri studenti a mostrarsi in webcam, anteponendo la necessità di
controllo al benessere dell'allievo, e ai conseguenti risultati di
apprendimento.
Le apparecchiature tecniche (macchine, software, piattaforme ecc.) non
sono neutre, portatrici di un altrove fuori dal tempo e dallo spazio
valido per tutti, sempre e comunque. Tutto l'opposto: creano un
setting, sono portatrici di approcci epistemologici e pedagogici!
Nel momento in cui ci affidiamo in modo acritico all'esecuzione,
all'applicazione, la piattaforma-macchina, in modo "gentile" e magari
per noi inconsapevole, ci conduce nella sua direzione, crea un proprio
setting, una situazione con regole e caratteristiche specifiche che
potrebbe essere ben diversa da quella che riteniamo utile, per lavorare
con i ragazzi o con gli adulti, con queste persone che sono diverse da
tutte le altre, con cui intratteniamo un rapporto privilegiato e unico.
Inoltre accade spesso che più impariamo ad "usare bene i software" e più
ci uniformiamo al sua "spinta gentile". È una forma di conformismo, o
meglio di mutuo condizionamento fra umani e macchine. Niente a che
fare con la convivialità
Succede così che insegnanti in aula poco inclini alla valutazione rigida
siano stati guidati da Google Classroom a valutare attraverso
verifiche a risposta chiusa, quiz in cui la componente riflessiva
viene completamente sacrificata a favore di quella cognitiva e
mnemonica. Allo stesso modo educatori creativi hanno ridotto la loro
attività a contest, challenge, produzione di meme simpatici che
potessero funzionare bene con il gioco dei like dei social network.
È fondamentale essere consapevoli della direzione in cui ci induce il
"piano inclinato" della piattaforma, il suo "demone" che ha
caratteristiche specifiche, interagisce con le nostre debolezze, i
nostri punti di forza e il nostro carattere. La consapevolezza dei
rispettivi caratteri ci aiuterà ad attivare le dovute contromisure.
Un modo per resistere al "demone del software", e, collaborando,
spingere l'applicazione ad andare nella direzione che noi
consapevolmente desideriamo, è quello di attivare dei piccoli hack,
ovvero cambiare le regole del gioco, utilizzare features
dell'applicazione nate per uno specifico scopo dirottandole verso un
altro obiettivo a noi più congeniale. Un esempio davvero semplice eppure
molto efficace è quello di utilizzare i riquadri di Zoom (comuni a molti
software di videochat) dedicati al nome dell'utente per scrivere. Non
solo il nome, ma nickname da hacker, aggettivi e metafore che ci
rappresentano in quel momento, o persino mini-poesie.
Sulla via dell'hack, un'esperienza molto interessante è stata l'utilizzo
di Fortnite da parte di un gruppo di educatori (l'Unità di Strada di
Fano) per lavorare con ragazzi a rischio ritiro sociale. Il loro hack è
stato quello di modificare il modo in cui veniva assegnata la vittoria.
In questo modo le possibilità di vittoria dei ragazzi sono state
ribaltate, permettendo di divertirsi e diventare "competitivi" anche a
chi non aveva mai giocato a questo gioco. Una competizione le cui regole
non rispettano lo standard: conoscendo le specificità del demone di
Fortnite si possono usarne le caratteristiche senza doversi conformare
all'uso "giusto".
Le piattaforme e gli strumenti digitali non sono tutti uguali. Quelli
che prediligiamo sono spesso leggeri, poco esosi in termini di
risorse; sono molteplici, perché tendono a far bene una cosa sola e
non a proporsi come soluzione unica per qualsiasi necessità; spesso non
ci chiedono nessun login e nessuna password, e quando accade sappiamo
dove stiamo entrando, a casa di chi siamo quando accediamo a un
determinato servizio; non raccolgono dati e metadati dalle nostre
attività per profilarci e propinarci pubblicità e prodotti
personalizzati.
In questo libretto ritornano spesso Nextcloud, Jitsi, Etherpad, ma
ne esistono tanti altri. Sono F/LOSS, cioè programmi che si possono
modificare per contribuire ad ampliare le libertà personali e collettivi
attraverso il digitale. Di certo non sono gratis: costano tempo ed
energia per imparare ad averci a che fare, talvolta denaro se non siamo
capaci di gestirli da soli. Perché se il software è gratuito, la merce
siamo noi, con le nostri gusti, le nostre abitudini, le nostre
relazioni.
Questo è tanto più vero per le piattaforme di e-learning: come spiega
Graffio (sezione Didattica), il metodo di insegnamento viene piegato
dalle piattaforme proprietarie, proprio perché non sono strumenti neutri
al nostro servizio, ma portatrici di interessi economici in primo luogo.
Per non parlare del fatto che, se immagazzinano dati personali degli
utenti negli Stati Uniti, non rispettano la legislazione vigente in
tutta Europa in fatto di privacy (GDPR), come dichiarato dalla Corte di
giustizia europea.
Anche il cyberspazio è un luogo in cui si può fare apprendimento
esperienziale. È un territorio che si può esplorare, che si può
attraversare con sguardo critico, ponendosi domande, costruendo
significati. Se siamo costretti a incontrarci in quel territorio una
cosa saggia può essere focalizzarci sulla sua scoperta.
Come ci suggerisce il "viaggio ai confini del darkweb" e il racconto sui
laboratori di pedagogia hacker per genitori (sezione Raccontare), si
può approfittare del lavoro formativo ed educativo a distanza per fare
meta-apprendimento sulla rete; infatti, come dicono gli stessi genitori
coinvolti in questo progetto, "siamo già nel mondo che vogliamo imparare
a conoscere e comprendere".
Il meta-apprendimento esperienziale si può fare in ogni situazione.
Anche lavorando con gli adolescenti si può esplorare insieme il mondo
dei social network, delle applicazioni che si utilizzano, le sensazioni
che si vivono insieme incontrandosi nel digitale. Così, nell'esperienza
della scuola di italiano con persone adulte e anziane presentata da
Marta Milani, si riflette a partire dai dispositivi e le piattaforme
digitali sui significati e le origini dei termini lessicali utilizzati
nell'ambiente informatico.
Un cosa certa è che il ritmo della macchina non è il ritmo dell'umano.
Perciò dobbiamo imparare a stare con cautela nello spazio della
macchina, in particolare se gestito da piattaforme di massa. I corpi
umani soffrono le velocità di sollecitazione del digitale di massa, la
quantità di stimoli compressa e incessante. In un'epoca in cui siamo
sempre connessi, in particolare gli adolescenti, è molto importante
riuscire a valorizzare nel lavoro educativo a distanza anche i momenti
di "disconnessione", di allontanamento dagli schermi.
Ecco due piccoli hack possibili per contenere i tempi di video, rivolti
in particolare alla formazione con adolescenti ma applicabili in maniera
più generale.
Innanzitutto, è sano fare videochat brevi. Un'idea può essere fare un
breve momento in diretta, dare una consegna, un compito, e poi
disconnettersi per riconnettersi più tardi per un momento di
restituzione. Questo aiuta anche a dare un "ritmo" al tempo dei ragazzi
senza "stordirli" eccessivamente.
Ancora, è possibile, durante una sessione di videochat, proporre
momenti in cui ognuno si allontana dal monitor per ascoltare solo la
voce di chi sta parlando, oppure per fare brevi attività unplugged, di
fatto disconnessi anche se con la connessione attiva.
Rarefare i momenti on line è anche utile per ridurre il digital
divide. Chi non ha dispositivi adeguati e connessioni veloci avvertirà
maggior fatica nel corso di attività online prolungate. Ancora una volta
il mondo connesso tende ad amplificare le diseguaglianze preesistenti
nel mondo disconnesso.
Attenzione! Passare meno tempo collegati on line non vuol dire che le
menti, corpi, "anime" siano meno connesse. Fondamentale è la qualità
della relazione, non la quantità dei minuti-monitor! Altrimenti passa
l'idea del setting che quantifica, che ci comunica automaticamente
quanto tempo siamo stati connessi come se il tanto fosse una garanzia di
riuscita.
Altri meno sono possibili per migliorare la qualità delle nostre
esperienze di formazione.
È utile ridurre i momenti in chat e invece valorizzare i momenti di
interazione asincrona. Nella formazione tradizionale si riducono a
essere "i compiti a casa" ma, ispirandoci all'approccio delle flipped
classroom, possiamo valorizzare il momento di incontro individuale con
stimoli di apprendimento, che in seguito viene socializzato e
rielaborato in gruppo e con il formatore (il momento di interazione
sincrona). Andare in questa direzione significa sfruttare il vincolo
della distanza per sostenere l'autonomia degli studenti e invitarli allo
sforzo di confrontarsi direttamente con i temi di apprendimento,
evitando la postura passiva che spesso è generata dalla lezione
frontale.
Cerchiamo di inviare meno notifiche possibile. Le notifiche sono quasi
letteralmente "spilli", che pungono la pelle, stimolano il cervello e
mantengono uno stato di tensione continua, una sorta di attenzione che
non genera profondità e intensità ma stress performativo. Nelle
situazioni di stress l'apprendimento significativo è inficiato in
maniera sostanziale.
Meno può riguardare l'utilizzo di un minor numero di canali in una
situazione multimediale, allo scopo di ridurre il numero di stimoli e
quindi favorire la focalizzazione dell'attenzione. Ad esempio in
videochat si può decidere di non utilizzare la chat, o di chiudere
la telecamera e quindi togliere lo stimolo del monitor.
Non esistono regole generali valide per tutti e sempre, ma di certo la
scrittura della chat non è meno emotivamente coinvolgente del video:
anzi, se l'obiettivo è creare intimità e confidenza, la chat può
svolgere un ruolo fondamentale.
È importante ricordarsi che la voce è un medium più caldo del video.
Non significa che emotivamente le immagini sono meno coinvolgenti, ma
che la voce è più efficace nel momento in cui vogliamo creare intimità,
confidenza (così come le immagini in bianco e nero sono più calde di
quelle a colori): quando dobbiamo confidare un segreto preferiamo farlo
in penombra, in un "setting notturno". Nella penombra, nell'oscurità i
contorni delle immagini si sfumano, si smussano i confini e questo
ambiente ci protegge e ci fa sentire più vicini. Tradotto in un'ottica
di educazione a distanza, può essere importante valorizzare la radio (in
diretta), il podcast (una registrazione che si ascolta in differita),
ma anche semplicemente rivalutare la "vecchia" telefonata, a tu per tu,
"solo" voce.
A questo proposito un buon microfono è importante. Più della risoluzione
del video. Se vogliamo fare un salto di qualità tecnica, ecco un buon
investimento: microfoni adeguati, direzionali se servono per portare una
singola voce, ambientali e panoramici se devono restituire più voci e
suoni. Anche con un computer portatile un microfono usb esterno può fare
la differenza fra una sessione disturbata e disturbante e un'esperienza
più gradevole.
Chiudiamo questa "introduzione" con una provocazione: è possibile fare
formazione a distanza senza il digitale?
Alcuni docenti, quando le scuole sono state chiuse a fine febbraio ma
non era ancora scattato il lockdown, hanno fatto il giro delle
abitazioni dei loro studenti per portagli "pacchi" con il materiale per
il lavoro a distanza, o lettere per comunicare la propria vicinanza e
dare qualche consiglio su come vivere quel momento difficile.
Con questa suggestione non vogliamo sicuramente sminuire il ruolo
fondamentale che il digitale ha avuto e sta avendo in un periodo così
difficile. Vogliamo solo ricordare che il digitale non deve annullare la
nostra saggezza e creatività analogica, è una presenza (spesso utile) in
un mondo che è molto di più. Per noi essere hacker è proprio questo,
saperci porre con le macchine in modo creativo senza esserne usati,
senza che divenga il quadrato di gioco totalizzante che soffoca la
nostra generatività.
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