Il doposcuola: nella Terra di Mezzo tra didattica e formazione

Il doposcuola: nella Terra di Mezzo tra didattica e formazione

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articolo pubblicato in formare a distanza?, C.I.R.C.E., 2020 , pp. 99-110

originariamente composto come testimonianza sulle attività di doposcuola - Caterina Annese

Il doposcuola: nella Terra di Mezzo tra didattica e formazione

Caterina Annese

Negli ultimi mesi la didattica a distanza ha portato davanti agli
schermi docenti e studenti, che hanno dovuto misurarsi con tecnologie e
nuove modalità di interazione.

Sono saltati gli schemi e i ritmi, sono cambiati gli orari propri della
scuola e gli orari degli studenti che hanno vissuto in uno spazio
virtuale la maggior parte del proprio tempo. In quello spazio si sono
articolati il tempo della scuola, il tempo del gioco e del non far
nulla, il tempo delle relazioni e il tempo della casa. Le giornate sono
state risucchiate dalla necessità di completare i programmi, svolgere i
compiti assegnati, dare valutazioni, capire come usare le piattaforme
digitali.

A volte i genitori hanno supportato i propri figli, spesso gli studenti
sono stati accompagnati da educatori e docenti che vivono nella terra di
mezzo delle attività del doposcuola.

Il doposcuola è un’attività di supporto alla didattica scolastica, non
si tratta di un semplice aiuto nello svolgimento dei compiti assegnati
dai docenti, ma è soprattutto un tempo dedicato alla relazione tra
educatore e studente per costruire insieme un metodo di studio e
lavorare su autostima e fiducia in sé. Il ruolo dell’educatore in questo
campo esige capacità di analisi dei contesti familiari e scolastici
oltre che un’attenzione al singolo, alle sue peculiarità, alle sue
competenze e alle sue emozioni.

In questa fase i ragazzi seguiti durante le ore pomeridiane hanno
trascorso tutti i loro pomeriggi ricostruendo nuove modalità di
interazione. Gli educatori sono entrati nelle case e hanno dovuto
sopperire alle lacune e alle mancanze della cosiddetta Didattica a
Distanza
(DAD), trasformandosi in tecnici, esperti di svariate
piattaforme, supportando da un lato i ragazzi e dall’altro i genitori.

Cosa significa «fare doposcuola»?

Chi fa doposcuola deve inventare e sperimentare per relazionarsi in modo
unico e sempre diverso con ogni ragazzo, garantendo la sua formazione ma
soprattutto sostenendo l’equilibrio della sfera emotiva. Si lavora
cercando di personalizzare gli strumenti e per garantire un’aggregazione
informale, perché al doposcuola non si è mai da soli, c’è sempre un
gruppo di ragazzi che studia insieme, imparando a rispettare le voci e i
silenzi degli altri, imparando a sospendere il giudizio e allenando la
collaborazione e l’ascolto.

Non si è da soli perché c’è sempre qualcuno lì per te, qualcuno con
capacità e competenze che ti supporta nello studio e che è pronto ad
ascoltarti, consigliarti, farti ritrovare la voglia. Quando si trascorre
il pomeriggio al doposcuola si è sempre in due su un libro, si
sperimenta insieme come arrivare all’obbiettivo, l’educatore è un tuo
alleato, che gioca nella tua squadra per ottenere insieme dei risultati.

L’educatore deve però capire anche le esigenze dei docenti, il loro modo
di interrogare, come e su cosa vorrebbero che gli studenti fossero
preparati, quali argomenti prediligono, che tipo di valutazione attuano,
se per loro è più importante la performance o la costruzione e l’impegno
per raggiungere un risultato.

Dopo aver inquadrato il docente, devi intuire cosa vuole il genitore…
sicuramente la serenità del figlio, ma tutti vogliono anche buoni voti,
tanto impegno e grandi risultati scolastici. Rimane da capire cosa vuole
il ragazzo che dopo 5 ore di lavoro a scuola, deve continuare il suo
lavoro a casa per molte altre ore.

L’educatore vede un altro lato degli studenti, che spesso si comportano
in modo differente in questo ambiente, perché la relazione che si
instaura è esclusiva e gli strumenti spesso sono diversi da quelli usati
a scuola, la modalità di interazione è differente.

Chi fa doposcuola aiuta più ragazzi contemporaneamente, spesso di classi
ed età differenti quindi con compiti diversi. La gestione dell’aiuto a
casa è uno dei momenti più stressanti della giornata sia per il
personale post-scuola che per gli studenti. A questo si aggiunge la
pressione dei genitori perché gli studenti finiscano i compiti nel
programma di doposcuola. Quantità e qualità dei compiti assegnati
raramente aiutano.

Chi è un educatore in un doposcuola deve soprattutto aiutare a essere,
valorizzando l’unicità e la singolarità dell’identità culturale di
ognuno; deve dare strumenti. Fra gli obiettivi: affiancare
all’insegnamento e all’apprendimento anche le conoscenze necessarie per
comprendere i contesti sociali, politici, culturali, antropologici in
cui si vive. E deve sapersi divertire, ridere e soffrire con i propri
ragazzi, riconoscere le loro emozioni, imparare ad ascoltarle e a
viverle insieme.

Il doposcuola è un rito: si comincia sempre con il chiedere come è
andata la giornata, si gioisce per un buon risultato, si soffre se
qualcosa non è andato per il verso giusto, si trova un modo per superare
quel momento e viverlo con serenità per andare avanti, si studia e si
svolgono i compiti, si ride, si parla e si mangia, si termina con un
arrivederci al giorno successivo, sapendo che domani staremo di nuovo
insieme per «fare i compiti» e incontrare gli amici del doposcuola.

Il doposcuola ai tempi della pandemia

Cuffie, elenco dei ragazzi, prova volumi, prova video e apri le dieci
finestre che ti serviranno per comunicare con loro. Sì, almeno dieci
finestre sul tuo browser perché ognuno di loro utilizza un modo diverso
per comunicare: c’è chi preferisce la videochiamata WhatsApp, chi su
Telegram, chi vorrebbe usare jit.si (perché ha sentito da un amico che
funziona), chi la stessa piattaforma che si usa a scuola, chi Zoom, chi
ti dirà di installare una cosa nuova di cui non hai mai sentito parlare;
apri le pagine dei registri elettronici di ogni ragazzo (se sei
fortunato e i genitori ti hanno dato le password) o aspetta le dieci
mail in cui ogni genitore ti avrà mandato (non) tutti i compiti che i
prof hanno assegnato.

Ora sei pronto per partire, per ognuno di loro un messaggio: sei pronto
per cominciare? Ecco, mai nessuno è pronto per mettersi a studiare…
meglio ritardare il più possibile questo momento… e così parte il solito
dialogo non dialogico (la funzione fàtica della comunicazione, direbbe
Jakobson, moltiplicata all’ennesima potenza): Mi senti? Non ti sento!
E ora? Lontana! Aspetta ora forse sì, no forse metto le cuffie! La
telecamera non si attiva!
Prova a uscire e rientrare... e così via per
almeno quindici minuti!

Dopo aver dato inizio alle danze e aver recuperato tutti i compiti da
svolgere arriva il momento dell’invio dei compiti… sì, per ogni ragazzo
riceverai mega e mega di immagini, di foto di libri, esercizi da fare,
screenshot dei messaggi con i compiti, screenshot di messaggi con le
cose da studiare e altre miriadi di informazioni.

Si attacca infine lo svolgimento dei compiti ma anche in questo caso
devi risolvere il problema della simultaneità: con ogni ragazzo usi
strumenti differenti e devi provare a esserci per tutti, imparando a
fidarti di loro, scommettendo che stanno facendo quello che gli hai
richiesto di fare.

A volte qualcuno scompare, non ha voglia e tu devi trovare il modo per
riportarlo in quello spazio. Comincia a spuntare le cose svolte, doppia
spunta per la verifica e una x per quello che non sei riuscito a fare…
ma quando pensi di aver terminato la tua giornata arriva la parte più
interessante: devi inviare i compiti svolti ai genitori che a loro volta
dovranno inviarli sulla piattaforma in modo tale che i docenti ricevano
tutto nel tempo previsto…

Ti trasformerai nuovamente. Ora sei diventato il personal trainer, o
se preferisci digital assistant, dei genitori che non sanno come
caricare, non ricordano le password, il loro sistema operativo non gli
permette di aprire quel file e così spesso tocca a te caricare tutto il
lavoro svolto sulle piattaforme. E se sei fortunato i compiti saranno
consegnati senza intoppi ai docenti, altrimenti correrai il rischio di
ricevere una chiamata dai genitori, che hanno ricevuto un WhatsApp dal
prof che dice «Suo figlio non sta consegnando i suoi compiti, non posso
valutarlo» e tu dovrai cercare di capire per quale mistero informatico
quei file caricati nello stesso identico modo questa volta non sono lì
presenti su quella piattaforma designata per la DaD.

E il tempo scorre e stai già pensando che forse avresti dovuto spiegare
meglio quella materia, che hai dedicato più tempo a qualcuno ed altri
meno, che a qualcuno hai dimenticato di chiedere come sta, che hai
preteso troppo e invece era una giornata no.

Ti rendi conto che hai perso parte di quella relazione, dell’approccio
empatico, di ascolto interessato, di collaborazione e complicità che in
tempi «normali» ti permetteva di non sentire il peso e la stanchezza del
tuo lavoro. Ti rendevano serena perché in mezzo ai compiti da svolgere
loro, i ragazzi, ti avevano lasciato un segno e tu lo avevi lasciato per
loro.

Mettere ordine

In questo periodo di incertezze il mio lavoro è stato quello di
rimanere una certezza, ho cercato di dare stabilità, un ritmo alle
loro giornate e soprattutto di essere un buon ascoltatore. I ragazzi
hanno dovuto cambiare radicalmente il loro modo di studiare a casa e
sono stati caricati di un forte senso di responsabilità. Molti hanno
vissuto questo momento con ansia e malessere; hanno perso le loro
relazioni e quegli strumenti che prima utilizzavano per svago e
divertimento, per mantenere vive le loro amicizie e i loro amori, sono
diventati gli stessi strumenti di studio: i dispositivi della sfera
privata sono diventati quelli della sfera scolastica. E così si sono
accavallati sui canali di messaggistica le chat dei compiti, le chat
con i docenti
e le chat delle materie scolastiche.

Se l’esperienza dello spazio comune della socialità appare sempre meno
definito dal qui e ora, con l’aumentare dell’uso delle tecnologie è
possibile essere simultaneamente connessi con spazi e tempi molteplici
senza essere necessariamente presenti. Mentre davanti agli schermi il
tempo per sé
si è sovrapposto al tempo dello studio, gli educatori
hanno dovuto trovare un modo per lasciarsi incasellare in quegli
strumenti, cercando di preservare spazio anche ai loro momenti
personali, rientrando nelle loro molteplici connessioni simultanee.

In questo modo ci siamo trovati immersi nelle loro case, nei loro tempi,
nelle discussioni con i genitori e nei momenti di sospensione in cui
arriva una notifica dall’amico e tutto si ferma, i pensieri si spostano
altrove e l’imminenza diventa nel migliore dei casi rispondere al
messaggio
, in altri indossare un nuovo mantello da supereroe e lasciar
perdere i compiti per provare a capire
perché nel suo volto è passata
un’emozione differente, empaticamente riconoscere quale segno gli ha
lasciato e sperimentare un nuovo modo di riportarlo nel tuo qui e ora,
in quel tempo dello studio, in quello spazio in cui devi svolgere i tuoi
compiti e rimanere concentrato, altrimenti il tempo passerà, non avrai
finito tutto, non potrai caricare i compiti sul portale e i tuoi prof
non potranno valutarti…

Un po’ di chiarezza nell’uso delle piattaforme avrebbe aiutato? Se i
docenti avessero saputo come usarle avrebbero dato più informazioni ai
ragazzi? Se ci fossimo interrogati su cosa avrebbe voluto dire fare
Didattica a Distanza... se l’educazione scolastica si preoccupasse
maggiormente del modo di apprendere, del come invece del cosa
imparare… ma per chi è un educatore e deve portare a termine la sua
missione questi sono i quesiti della buonanotte, prima è necessario
trovare una soluzione.

Dopo varie prove e dopo aver consultato i miei digital assistant, ho
sperimentato alcune procedure appropriate per seguire tutti
contemporaneamente, dare a tutti la stessa attenzione e soprattutto
garantire la nostra relazione e la relazione tra loro.

Ho chiesto ai ragazzi di propormi un luogo in cui avrebbero voluto
incontrarsi se avessero potuto fuggire dalle loro case in quel momento.
Abbiamo deciso per il parco (quello dove ci sono le rampe per lo skate
e un bel campetto di calcio, quello dove si passeggia con le amiche e
dove ci sta la gelateria che fa un gelato buonissimo
). Abbiamo creato
così la nostra stanza su jit.si: possiamo starci tutti insieme,
silenziarci, scriverci nella chat, mostrare quello che stiamo facendo;
possiamo vederci e io posso esserci simultaneamente per tutti. Siamo
riusciti a ricreare un surrogato di presenza sufficientemente
appropriato che ci ha permesso di vivere in modo più «normale» questo
momento di distacco, abbiamo ricominciato a ridere e a scherzare e sono
riuscita a diminuire difficoltà e stress nel mio lavoro.

Ma come fare ad avere i compiti di tutti, nelle cartelle giuste, pronte
per l’invio? E qui mi viene in soccorso la nuvola: spiego ai ragazzi
come salvare le foto dei loro compiti e come caricarle sul nostro
Nextcloud, che non sta sulle nuvole ma ospitato in un server amico, ben
piantato per terra e alimentato con energie rinnovabili. Così mi ritrovo
ben ordinate tutte le cartelle con tutti i compiti svolti, pronti da
inviare sulla piattaforma, senza dover cercare tra le foto inviate sui
mille canali di messaggistica.

Non si tratta di risolvere tutti i problemi legati alla DaD, ma di
salvaguardare la mia sanità mentale, la mia serenità. Ho potuto svolgere
il mio lavoro, con attenzione e professionalità, senza perdermi nel
sovraccarico di informazioni e notifiche; ho permesso ai miei ragazzi di
ricostruire una normalità usando tecnologie differenti con strumenti
nuovi, non sovrapposti a quelli del loro tempo e del loro spazio,
ricreando un tempo e uno spazio esclusivo solo per noi.

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